Gli ebrei in Puglia, una presenza bimillenaria

La presenza di ebrei in Puglia, documentata almeno dall’età imperiale romana, fa della regione adriatica uno dei più antichi luoghi di insediamento giudaico di tutta la diaspora europea occidentale. Secondo una celebre cronaca, forse composta proprio in Puglia nel X secolo, il Sèfer Yosippòn (Libro di Giuseppe), “Tito stabilì a Taranto, a Otranto e in altre città della Puglia circa cinquemila deportati,” sbarcati sul suolo pugliese dopo la distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme (intorno al 70 dell’Era Volgare), esponenti delle famiglie sacerdotali più aristocratiche della Terra d’Israele. Benché la tradizione locale colleghi i primi nuclei ebraici ad una condizione di emarginazione, conseguente alla deportazione, pare che molti degli esuli venissero accolti con favore nei cosmopoliti porti pugliesi. Furono perlopiù commercianti, che continuarono a mantenere contatti con l’oriente mediterraneo e la sponda settentrionale africana, ma svolsero anche professioni stanziali, spesso associate all’industria tessile e alla produzione ceramica; alcuni esercitarono importanti incarichi pubblici nei vari municipia. Le epigrafi sepolcrali più antiche superstiti si conservano nelle catacombe di Venosa: esse provano la tendenza della popolazione ebraica a spostarsi, soprattutto in funzione dei principali assi viari romani, rimasti in uso per tutto il Medioevo. Le iscrizioni tombali, datate a partire dal VI secolo, testimoniano che la popolazione giudaica locale utilizzava il latino come lingua di comunicazione e si serviva di nomi derivati dalla tradizione biblica associati ad altri tipici dell’onomastica non ebraica.

Dalle coste pugliesi i maestri ebrei si mossero e diffusero il loro sapere in altri centri del Mediterraneo, tanto che nell’Europa settentrionale del XII secolo si diceva, parafrasando un versetto di Isaia, “Da Bari uscirà la Torà e la parola del Signore da Otranto”. Ancora nel XV secolo erano attive importanti scuole ebraiche a Bitonto, Trani, Barletta, Monopoli e Otranto, dove si erano stabiliti numerosi profughi sfuggiti alle conversioni forzate in Spagna e Provenza. Nonostante le mutevoli condizioni di tolleranza disposte dai vari regimi che si succedettero nella regione adriatica, la presenza ebraica in Puglia non venne meno fino all’epoca delle espulsioni definitive del XVI secolo, quando l’intera Italia meridionale entrò a far parte dei domini asburgici di Spagna. L’obbligo di scegliere tra l’esilio o il battesimo produsse una frattura tra quanti preferirono abbandonare i loro beni piuttosto che rinunciare alla fede degli avi e quanti assecondarono le imposizioni. Nel giro di poche generazioni quasi tutte le tracce della loro plurisecolare dimora furono cancellate. Sinagoghe ed edifici comunitari vennero demoliti o convertiti in chiese e conventi, rotoli liturgici, manoscritti scientifici e altri documenti distrutti, oggetti di uso religioso fusi o venduti per il loro valore intrinseco. 

Quel poco che sopravvisse di una presenza plurisecolare fu il patrimonio materiale che i profughi riuscirono a portare con sé insieme ai ricordi di vita pugliese che si sedimentarono su quelli raccolti da altre diaspore nei centri in cui si trasferirono: Venezia, Corfù, la Grecia continentale, Costantinopoli… Lì il culto e le lingue degli ebrei locali subirono, in maggiore o minore misura, l’influenza delle tradizioni pugliesi, ancor oggi testimoniata a Corfù, dove l’attuale comunità si autodefinisce “pugliese”, o a Salonicco, dove fino alla tragedia della Shoà esisteva una sinagoga denominata “Puglia vecchia”, una “Puglia nuova” e, fino al 1960, era visibile l’edificio della congregazione “Otranto”. Vivide restano le tracce di usi e tradizioni ebraici pugliesi nelle opere composte nella regione e nei manoscritti ebraici superstiti che vi furono copiati, conservati nelle biblioteche pubbliche e private di tutto il mondo. Dopo secoli di oblio, la presenza ebraica tornò ad animare la regione adriatica all’epoca dell’apertura di numerosi campi che ospitarono profughi ebrei in gran parte superstiti alla Shoà nell’immediato dopoguerra. Dalla Puglia, quei profughi che desideravano una terra ospitale in cui riprendere una vita normale dopo le tragedie subite, si mossero, spesso nella clandestinità, per raggiungere la Terra d’Israele.

Nonostante la damnatio memoriae dell’età moderna, la Puglia conserva luoghi che la rendono meta imprescindibile del turismo ebraico internazionale. Ancor oggi un itinerario ebraico pugliese ci porta a ripercorrere le antiche vie consolari romane, in particolare la Via Appia e la Via Traiana, sulle orme di pellegrini e mercanti che si dirigevano verso Roma e in Terra d’Israele. Tra i più celebri viaggiatori ebrei medievali, Binyamìn da Tudela descrisse nel suo Libro di viaggi le tappe del suo percorso nella Puglia normanna del XII secolo. Dalla sua vivace narrazione (qui riportata in corsivo) prende avvio il nostro itinerario, arricchito di numerose tappe che renderanno il viaggiatore odierno un moderno pellegrino della memoria.

 


 

CAMPI DI TRANSITO

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in tutta Europa si manifestò l’esigenza di pensare al destino del grande numero di ebrei che avevano perso la cittadinanza dei loro paesi d’origine, in gran parte sopravvissuti ai campi di lavoro e di sterminio. Le potenze Alleate, sostenute dall’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), istituirono, soprattutto in Germania, Austria e Italia, campi di transito, per consentire ai profughi di recuperare le forze prima di intraprendere il viaggio verso la loro patria, vecchia o nuova che fosse. Per la maggior parte degli ebrei ospiti dei DP (Displaced Persons) Camps, la speranza era di raggiungere un luogo in cui poter vivere senza dover più sottostare agli obblighi delle maggioranze esterne e dove poter ricreare una vita degna di tale nome dopo le sofferenze subite in Europa. L’Italia ebbe un ruolo centrale nell’emigrazione clandestina di migliaia di profughi in Palestina, tanto da essere definita la “Porta di Sion”. A partire dal settembre 1943, verso la Puglia, appena liberata ma ancora provata dalla guerra, confluirono varie ondate di rifugiati ebrei di varia nazionalità. Numerosi furono i campi di transito, allestiti in Puglia dalle Forze Alleate verso la fine della seconda Guerra Mondiale per ospitare migliaia di profughi ebrei perlopiù di origine est-europea scampati allo sterminio nazista. A Trani, Barletta, Bari, Gioia del Colle furono attivi dal 1944 all’indomani della creazione dello Stato d’Israele. Nella campagna presso Gioia del Colle resta una grande masseria che ospitò numerosi profughi nel dopoguerra, la cosiddetta “Casina rossa”. Nel Salento furono scelte le località balneari di Santa Maria al Bagno (CAMP 34), Santa Maria di Leuca (CAMP 35), Santa Cesarea Terme (CAMP 36) e Tricase Porto (CAMP 39). I campi salentini, allestiti perlopiù sfruttando le residenze secondarie della borghesia locale, furono operativi dal 1944 al 1947. Le memorie dei profughi e l’accoglienza della popolazione locale sono al centro della narrazione del Museo della Memoria e dell’Accoglienza di Santa Maria al Bagno, che vanta alcuni murales eseguiti nel 1946 da un pittore rumeno ospite del campo locale. Seppur brevemente, gli ebrei ripopolarono la regione che li aveva accolti tanti secoli prima e dalle coste pugliesi i discendenti degli antichi esuli d’Israele riuscirono infine a tornare da uomini liberi nella loro antica terra.